1609-06-23.A Hotman J
Molto illustre signor colendissimo
Io ricevo continuamente gratie di Vostra Signoria senza renderli mai, come sarei obligato, servitio alcuno in contracambio. Con la sua delli 9 maggio ho ricevuto la copia degl'avisi et la cognitione di monsignor di Couverelles1, triplicato favore. Benedico ogni giorno que' leggieri travagli datimi dalla corte romana, poiché mi hanno fatto acquistar la gratia et benevolenza di tante persone segnalate senza che in me sij altra buona qualità che la meriti. Facio stima principale dell'esser amato da Vostra Signoria et sento piacere che ella non possi venir a toccar con mano, se rispondo al concetto che ella tiene di me: conviene guardar le imagini di lontano acciò paiano belle, che d'appresso sono scoperte le imperfettioni. Così sarà avvenuto a monsignor di Couverelles di non vedere in fatti quello che, essendo costì, teneva in stima. Non vorrei già che Vostra Signoria tenesse di me quel concetto, che rappresentano le deboli scritture fatte nelle occasioni corse, si perché forno repentinamente scritte et più seguendo là dove li inimici ci tirravano che dove noi havessimo mirato scrivendo di nostro dissegno, come anco perché eravamo necessitati d'haver più avvertenza di che tacere che alle cose da dire. Non possono, in somma, que' scritti esser commendati salvo ché da chi li mira con occhio d'amicitia.
Ho osservato li andamenti delli giesuiti in cotesto regno già alcuni giorni et mi pare che sijno sacij di vederlo in pace; par loro che lo star tanto senza sparger sangue, over offerir al lor nume vittime humane, sij impietà grande. Hanno tentato la Germania et vegono che tutto si compone senza ferro; la Francia fa per loro dove facilmente si tratta con le armi, credo che li dissegni sijno perversi. Et per qualche cognitione che ho della loro politica, niente fanno per privato disegno et niente a caso, poiché hanno dato principio la quaresima passata, stij certa Vostra Signoria che non s'acqueteranno se non condotte le cose là dove hanno disegnato. Ma tutto è in mano di Dio, il qual spesso conduce per nostro mezo le cose a fine opposito al nostro.
Sento piacere che il signor abbate di S. Médard2 sij per uscire del travaglioso affare3, se bene ho dolor del trattato, ma l'huomo savio s'accomoda alla malignità del tempo et, quando non può reger le cose, si lascia regere da loro. Prego Vostra Signoria farli miei basciamani a quel signore condolendosi del male et rallegrandosi del bene per mio nome, di che le scriverei io, se non restassi per non annoiarlo.
In Italia, habbiamo le cose assai quiete. La corte romana solamente turba alquanto se stessa et molto gl'altri. Il conferrire tutti li beneficij vacanti al nipote4, come il papa fa, è di così gran disgusto a cortegiani, che nissun lo può sopportare. Ne' tempi passati, li maggiori beneficij sono stati di Napoli, al presente et li maggiori et li minori, siché non resta per gl'altri alcuna cosa; et non solo quelli che habitano in corte ma ancora tutti li preti d'Italia restano pieni di sdegno et mala sodisfattione. Par che li Spagnuoli habbino pensato di volerci provedere, di che molti buoni si rallegrano, credendo che debbi quella corte ricevere qualche diminutione, se dalli Spagnoli che l'hanno fin al presente sostenuta, sij combatuta. Io la intendo in contrario : li Spagnoli savij soliti a valerci dell'opera della corte, non vogliono che perdi la riputatione et diventi inetta per li servitij loro, et per tanto, vedendo che corre al colmo delli disordini, vogliono fermare il corso et corregere il grand'eccesso, ma se questo è il tempo del divin beneplacito, non opereranno con frutto. Io prego la sua divina maestà per la venuta del suo regno, et per Vostra Signoria che le doni le sue sante gratie, alla quale fecendo fine bascio la mano.
Di Vinetia il 23 giugno 1609
Di Vostra Signoria molto illustre
Affettionatissimo servitore
f. Paulo di Vinetia