1610-09-14.A Groslot
Molto illustre signor colendissimo
Passando così longo tempo prima che si possi haver una risposta da Parigi, non mi maraveglio se alcune volte par a Vostra Signoria che alcuna delle sue sia smarita: quaranta doi giorni passano per haver risposta da Parigi, et per haverla da lei 56. Con tutto ciò, io ho molto ben memoria d'haver ricevuto le due sue delli 23 giugno et 5 luglio; nell'ultima de quali havendomi ella scritto ch'era sul partire per andar a' bagni, restai di rispondere per timore che la mia, capitando in sua assenza, scorresse qualche pericolo; et ho aspettato a scriverli sino all'intender del suo ritorno, del quale mi dà aviso per quella delli 18 agosto.
Io non soglio mai conservar lettera alcuna de' amici, per tutti quei rispetti che possono occorrere nelli tempi seguenti, ma doppo lette le dissipo tutte. Da che viene che domandandomi Vostra Signoria conto, alcune volte doppo longo tempo, delle ricevute, non glielo posso dar così sicuro. Per l'avvenire, io voglio tener nota del dato delle sue et del giorno che le rispondo acciò, occorendo, possi levar qualche suspitione di perdita di lettere che nascesse in lei o in me; perché, veramente, questa è cosa gelosa et, poiché sino al presente tutte sono capitate, è bene anco esser certi di quel che succederà all'avvenire.
Io non ho preso quel dispiacere del particolare che mi scrive (non sentir gran profitto dalle acque de' bagni) che haverei sentito se non fossi persuaso che la virtù di simile medicamento non opera effetti sensibili se non doppo qualche tempo. Mi giova di credere che Vostra Signoria sentirà giovamento alla primavera, massime se passerà questo tempo senza disordinare nella regola del vivere: io non parlo quanto al cibo solamente ma quanto al sonno et vigilia et moto et quiete et affetti dell'animo, che più di tutto importa.
Tra tutte le cose che occorono in Francia, nessuna mi porta maggior maraveglia quanto la concordia tra *Condé et Guise5 ; et sto in qualche dubio che dal canto del secondo non vi sia tutta la realtà. Quella casa mi è tutta sospetta. Anco Joinville6 professa dipendere dal re d'Inghilterra et da lui è proposto per capitano alla Republica. L'essere di Lorena mi spaventa et il fresco essempio di Vaudémont7.
Quanto al regno di Francia, certa cosa è che li grandi non possono esser senza ambitione et desiderio d'avanzarsi et, per conseguenza, senza concorrenza et disgusti tra loro. Quel di ciò che apparisce sin adesso non debbe dar maraveglia, anzi bisogna per necessità aspettarne di più. Il tutto è, come bene Vostra Signoria discorre, che li popoli siano savij nel tempo futuro, come nel presente. Le cose passate doverebbono esser loro per documento perché, finalmente, nelli tumulti di già, essi solo hanno patito. La quiete fa per i popoli et il moto per i grandi. Le città, nelli tumulti passati, sono state le più pazze; ragione è bene che siano hora le più savie.
Io non sento con buon animo a lodare *Condé, quantunque habbia per intimo monsignor *di Thou. Questo indubitatamente è incorruttibile, ma che bene spereremo da quello, hostium artibus infecto ? Li reformati faranno molto bene a congregarsi et stabilir le cose loro, prima che nasca alcuna confusione perché, all'hora, con gran difficoltà si fanno le cose che in tempo quieto si ordinano con facilità.
Quel Concini mi par una scintilla per metter fuoco in Francia ma finalmente la prudentia degl'altri, et massime di *Villeroy, potrà temporeggiarlo. Il peggio è dei giesuiti quali, con le arti proprie et con le romane, metteranno tanto male copertamente che, innanzi sia veduto, si farà grande et irrimediabile. L'haver Condé datoli repulsa, mi par un bel atto, se non è simulato.
Intorno le cose di Giulich8, ogn'uno tiene di dover udir presto nuova della resa o presa. Io però resto in gelosia osservando la constantia delli difensori, parendomi che vanamente una fortezza si diffenda, quando non vi sia chi la voglia soccorrere; et sto in qualche dubio di dover sentir un giorno che li agenti di Spagna si dechiarino per quella diffesa. Mi par gran cosa che essi voglino romper la tregua, che voglino soccorrer un luogo assediato, havendolo potuto soccorrer prima che l'assedio fosse posto. Ma dall'altro canto, non è minor maraveglia che lascino perder un luoco così oportuno per loro. L'evento sarà giudice ma tra tanto l'orecchie m'intronano male.
Quanto alle cose d'Italia de' quali Vostra Signoria mi ricerca l'opinione mia, li dirò brevemente quel che è apparente, poi quel che io credo di occulto; et quanto al pronosticarli il futuro, non ardisco per l'esperienza ch'io ho della riuscita delle cose, sempre al contrario dell'espettatione. Quello adunque ch'è di vero et apparente, passa così. Hanno li Spagnoli, nello Stato di Milano, quatro terzi di fanteria italiana che sono 12 mila, 6 mila Svizzeri et 6 mila Todeschi del Tirolo et 2 mila Valloni. Di cavalleria, oltre la propria del Stato, che può esser 1500, hanno 600 cavalli borgognoni. Questa gente non è pagata ma le città et terre danno una lira di questa moneta per fante che allogia in loro, al giorno, e due per cavallo; con promessa che queste spese li saranno rifatte nelle contributioni anniversarie che debbono. Doppo la morte del conte di *Fuentes, non è restato capitano atto a condur questa gente; anzi, tra il Castellano et li Spagnoli del conseglio, è nata differenza chi dovesse governare nell'interregno et hanno fatto proclami l'uno contra l'altro, con poca riputatione del re. Sì come è stato anco con poca riputatione che li doi viceré, nuovo et vecchio, di Napoli nel complire, non si siano intesi delli titoli et perciò il fratello dell'uno col figlio dell'altro, sfodrate le armi, si siano abbattuti9. Non è venuto ancora a Milano nuovo governo ma passa fama che sia destinato il contestabile di Castiglia10, il quale (dirò per parentesi) mi piace per esser nemico di preti.
Il duca di Savoia ha circa 18 mila persone in arme, non a spese de populi, ma pagate. Ha deliberato di mandar Filiberto11, secondogenito suo, in Spagna per trattar accordo col re, così consigliato anco da Bulion12 ; non però per mare ma per la via di Francia.
Il papa fa ogni cosa acciò non sia guerra in Italia. La Republica ha proveduto soldati per difesa con intentione, se le genti de Spagnoli inverneranno, di far a primavera giusta armata. Adesso non si ha da dubitare che li Spagnoli muovino le loro genti, sì per mancamento di capitanio come per mancamento di denari, senza quali non si può muover essercito.
Del duca di Parma13 non fu vero niente che si pensassi darli cura delle genti, né è verisimile che si faccia nella sua persona, né di altro italiano. Qui li dirò per incidente che al sudetto duca è nato un figlio maschio la settimana passata, con poco piacer del papa et di preti che mirano a quello Stato.
Hora, tornando all'apparecchio delle armi, io credo che (vivendo il re di Francia et tenendosi che dovendosi potentemente assaltare il ducato di Milano) il conseglio di Spagnoli fu provedersi legermente et quanto bastava per sola difesa acciò li Italiani, veduta la Francia potente et senza oppositione, ingelositi si unissero con loro. Ma, morto il re, pensarono di accrescer quelle provisioni per metter timore al duca di Savoia et ridurlo a gettarseli in braccio; ma restando il duca constante, essi si sono armati maggiormente, pur per venir a quel fine; al quale non potendo, per la constanza del duca, arrivare, si ritruovano in gran perplessità, perché disarmandosi senza haver ottenuto il dissegno, perdono la riputatione. Adoperar le loro armi adesso non possono, per difetto di denari et capitanio; invernar le genti sarà totale ruina di quello Stato, già desolato. Il duca, a cui queste cose son note, temporeggia perché esso vince, sempre che Spagnoli non ottengano il loro fine; et oltre che essi non si possono muovere, egli li trattiene con la deliberatione di mandar il figlio in Spagna: l'essecutione di che molto ben si può differire, come altre volte si è differita; et mandandolo per Francia, si può anco farlo fermar per viaggio o ritornare.
Le debbo anco dir a Vostra Signoria qualche cosa del secreto di principi. Il papa non vuol guerra per timor di ugonotti et acciò non cessi l'Inquisitione, suo fondamento. La Republica non vuole, per l'ocio; Savoia vorrebbe in ogni modo ma non può; Fiorenza è l'istessa con Spagna, quale non vuol guerra stando tanto bene che megliorar non può, ma è in gran pericolo di deteriorare. Per il che, risguardando le ragioni humane, bisognerebbe concluder che tanti apparecchi si risolveranno in niente. Ma Dio soprastà a tutti et conduce a sua gloria contra i dissegni humani, quello che il mondo invia tutto altrove. In tutte queste occorrentie, nessuna cosa per mio credere più nocerà al bene che la superstitione della regina14 ; et tanto più quanto, come Vostra Signoria dice, vi è cattività del matrimonio15.
A me dispiace che il zelo, quale Vostra Signoria vidde qui, è mortificato se non estinto, poi che il papa non jam minatur sed blanditur; et che il fine è comune cioè la quiete.
Io son stato molto tedioso a Vostra Signoria, per quel che m'accorgo; et vedo d'esser in obligo di finire. Le dirò solo di fra Fulgenzio16, esser opinione anco delli stessi cortigiani romani, che gli sia stato violato la fede; et la medesima sentenza che hanno letto publicamente nella chiesa di San Pietro17 mostrava che non meritasse quel fine. Prego Dio che doni intiera sanità a Vostra Signoria, alla quale bascio la mano.
Di Vinetia, il 14 settembre 1610.