1610-06-22.A Casaubon

Eccellentissimo e colendissimo signore,
Con grande mio rammarico l'esemplare di Polidio, mandatomi da Vostra Signoria in dono, è andato perduto. Mi dolgo non tanto per esser privo del frutto delle sue fatiche (poiché ne ho un altro di cui mi servo) quanto per avere perduto un suo dono a me carissimo. Ma poiché non la cosa in sé ma il sentimento dell'animo bisogna considerare, mi basta che m'abbia stimato degno di tanto onore da ritenermi non indegno del suo favore.
Tutti detestano l'abominevole scelleratezza iniziata e compiuta in un colpo solo contro l'ottimo principe che fu vostro re, tranne quelli che tra le arti che professano, pongono l'uccisione dei principi; questi non mi stancherò di odiare sempre più intensamente.
Quanto al resto, vedo che mi giudica secondo l'amicizia e non secondo la verità; ché certo non sono tale da essere consultato con sicurezza su così importante argomento, dovendo rispondere per lettera ad una questione non trattabile per via epistolare. Ma poiché non oso negarle niente, tenterò di venire incontro al suo desiderio. La prego di accogliere il tentativo stesso come un'opera compiuta. Premesso che Cristo si è sacrificato per la Chiesa per renderla immacolata, non in questo secolo ma nel futuro; mentre essa s'incammina e tende là dove i mortali non possono giungere. Mi sembra che Ella desideri una Chiesa esente da ogni macchia ma non potrò mostrargliela, se non alzerà lo sgurado al cielo. Qui sarà da dirsi ottima quella che è meno contaminata da corruzione. Gettate le fondamenta della fede, san Paolo ammonì che sorgono delle strutture che si devono mettere alla prova del fuoco e per lo più lasciare consumare1. Mentirei se dicessi che la Chiesa di Corinto che Paolo fondò, accrebbe e chiamò santa, fu più casta delle Chiese dei nostri secoli. Dove vivono i mortali, si troverà più facilmente motivi di biasimo che di lode; dovunque la perfezione è l'ideale al quale dobbiamo tendere.
Due fatti accadono di cui non intendo bene la ragione. Il primo è che si ricorre ai Padri pur sapendo che quelli hanno spessissimo fatto della retorica e inoltre hanno concesso troppo alle pregiudicate opinioni del loro tempo e, volendo indurre i pagani alla fede, si sono sforzati di chiamare con gli antichi vocaboli cose del tutto diverse. Per questo motivo, non si può così facilmente ricavare dalle loro parole il senso a quelle attribuito e ognuno può assai agevolmente tirarlo secondo l'intento suo. Tralascio il fatto che in nessuna controversia si può ricavare con chiarezza il pensiero di chi ha scritto sull'argomento in oggetto, prima ancora che la controversia sorgesse. Chi crede che i monti più alti tocchino il cielo è ammonito dal proverbio italiano : Più su sta Mona Luna. Il secondo fatto è che, come nuove Marta, ci affanniamo in troppe e futili cose, trascurando frattanto l'unica che è veramente necessaria. Perchè ci preoccupiamo degli ornamenti della casa, perché badiamo ai particolari che il fuoco avrà in sua balía ? Il solo fondamento è da porsi alla prova : purché sia saldo, tutto il resto vada come vuole e sia provato dal fuoco.
Comunque, ottenuta venia dal mio amico e signore, non tacerò quello che fu detto molto bene da Agrippa2 : della religione, si giudica non con la ragione ma con il sentimento ; norma che tutti i saggi seguono , né altro vogliono quelli che, nel nostro secolo, ripetono che si deve assogettare la mente in ossequoi alla fede. Chi, invece, è trascinato da sentimenti contrari, ricordi che non troverà mai tanto bene nella realizzazione quanto ne avrà sperato e si guardi dalle medicine che, mentre eliminano una malattia, ne ingenerano altre (e non di rado più numerose e gravi) mentre le vecchie e conosciute si tollerano più facilmente.
Tanto ho scritto con ingenuità, né più potrei dire se parlassi di persona. Ma Vostra Signoria se ne ricorderà in seguito (quando mi esaminerà sul piatto della bilancia) di non stimarmi tanto perché troverà, invece d'un asse, un nonnulla; come sono certo che lo troverai, quando avrai letto queste mie abborracciature.
Prego Dio di assecondare i suoi disegni col suo favore e di volgerli a sua gloria e di largirti ogni bene presente e futuro, e a me dia grazia di riuscire non inutile servitore. 
Addio
In Venezia, 22 Giugno 1610

Servitore umilissimo
F. Paolo veneto

1. Paul, Première Epître aux Corinthiens, 3,13 : L'ouvrage de chacun paraîtra enfin et le jour du Seigneur fera voir quel il est, parce qu'il sera découvert par le feu et que le feu mettra à l'épreuve l'ouvrage de chacun.
2. Henri Corneille Agrippa de Nettesheim (1486-1535) est un médecin, théologien, mage et alchimiste, né à Cologne et mort à Grenoble dans l'indigence. Après une vie consacrée à la magie, l'alchimie et la médecine, vers 1525, il devient sceptique et, empruntant beaucoup à Nicolas de Cuse et Giovanni Francesco della Mirandola, il est l'auteur de De incertitudine et vanitate omnium scientiarum et artium atque excellentia veri Dei declamatio, publié pour la première fois en 1530, puis traduit en français par Louis Tarquet de Mayerne en 1582, chez Jean Durand.