1608-07-22.A Groslot
[Al molto illustre signore colendissimo
Il signor dell'Isle]3
Molto illustre signore colendissimo
Sento tanto piacere del leggere le lettere di Vostra Signoria, che mai possono parermi se non brevi et la prego di continuare a favorirmi collo scrivermi spesso, massime quando sarà senza suo incommodo. Ella non potrebbe imaginarsi quanto siamo custoditi dalli inamorati della nostra libertà, così in casa con spie come nelli circonstanti paesi con guardie aperte. In Inspruch et in Trento si fanno ricerche et diligenze esquisite, che non siano portati libri qua. Hanno in Bergamo, Verona et in Vinezia stessa, diligentissime spie per esplorare a chi sijno inviati pacchetti. A me questi andamenti non dispiaciono, sapendo che moroso4 geloso acquista sempre maggior odio et constringe in fine a scuotere il giogo.
Ho letto già il Catechismo5 di *Pasquier, ho veduto ancora la Revisione del concilio et il Bureau et li Atti6. Se vi fusse altra scrittura che trattasse di tal materia mi sarebbe grata, perché io ne ho scritto qualche cosa di più, raccolta da altre materie che ho potuto ritruovar in queste parti.
Quantunque passerà qualche tempo inanzi possi ricuperare l'Armonicon celeste, nondimeno, come cosa da me stimata, verrà sempre a tempo et resterò obligato alla diligenza di Vostra Signoria, con conditione però che ella non faccia cosa alcuna dando a sé o ad altrui incomodo. Quando vi fosse qualche libro grande ancora, ma che per la perfettione sua portasse la spesa di vederlo, si potrebbe mandare a dieci fogli per volta nel pacchetto delle lettere. Sarà però sempre bene avisar prima il nome del libro, acciò non si mandasse con tante difficoltà cosa già veduta et sfiorata. Non posso quasi credere che monsignor *Vieta non habbia lasciato qualche consideratione di cifre. Quando venisse fatto a Vostra Signoria di acquistarne qualche copia, mi sarebbe molto grata.
Mi fu comendato monsignor *Aleaume da Marino *Ghetaldi, gentilhuomo raguseo, persona di giuditio, e sino da quel tempo l'ho sempre tenuto in stima et in riverenza. Essendo tanto congionto con Vostra Signoria la prego con qualche occasione farmegli grato, offerendogli la mia humile servitù et pregandolo ad honorarmi con qualche suo comandamento. Già inanzi che le occorrenze del mondo m'invitassero a pensare come a cose serie et non come a passatempi, alle considerationi in quali Vostra Signoria m'ha veduto imerso, io haveva tutti li miei gusti nelle naturali et mathematiche7, et particolarmente mi son assai trattenuto nelle cose del Vieta. Il quale, tra le altre sue bellissime considerationi, ha scritto una De cognitione aequationum, che non è stampata8, mi venne in mano per mezzo del Ghetaldi sudetto et mi diede occasione di essercitarmi all'hora, sì che in quel soggetto mi pare d'haver trovato qualche cosa. Al presente tutto resta sopito, sì per esser io voltato ad altri pensieri che come operabili più muovono9, come per non haver più la compagnia del Ghetaldi, che mi teneva svegliato.
Già è deciso che la Relatione si mandi, si farà senza meno. Adesso la rivego per farla copiare et scriverò al signor ambasciatore, sì che Vostra Signoria haverà quello che li piacerà10.
In quello che tocca le cose publiche del mondo, vego gran turbationi, le quali però, per bontà divina, termineranno tutte in quiete. Habbiamo veduto (bisogna confessarlo) composte così importanti controversie, come quelle che in altri tempi hanno commosso tutto l'universo. L'ultima, spettante a l'imperatore, mi rende attonito se non trahe seco consequenza simile alle barricate.
Questa Repubblica non solo spende et si consuma per l'armare ogn'anno, ma riceve un altro danno et forse maggiore per li corsari di Sicilia et d'altrove, che sono a bello studio ritrovati per l'effetto istesso. Ci è però a chi non dispiace il consumarsi così et, purché godino il presente, non li spaventa la certezza del futuro. Non metto in dubio quel che Vostra Signoria dice che ogni timore chiama li mali temuti, so che ogni affetto corre a quel che fugge, quando è immoderato et sempre s'allontana da quel che proseguisce, ma tenga per fermo che il nostro non è timore ma come il vostro, compiacenza nelle voluttà. La somma che debbe spender *Toledo è grande, purché non faccia le spese di Savoia costì et metta in pezzi qualche buona pezza di Francia !
Qui si è tenuto per qualche tempo il moto d'Irlanda essere una rebellione generale, io me ne son sempre riso che, fuggito il capo, le membra potessero haver dato in così grand'occasione: le cose del mondo non passano così facilmente a tante contrarietà.
Mi piace molto l'opera intrapresa da monsignor *Gillot di mettere insieme le libertà della Chiesa, io non voglio dire gallicana, ma universale11, et forse Dio in questo secolo vuole con un mezzo più dolce del tentato nel secolo passato estinguere la tirannide. S'ha tentato di dare al fondamento, la mina non ha fatto tutta l'opera, chi sa che incominciando dal tetto, come al presente si fa, non ne riesca qualche meglior effetto ? Se Dio benedirà l'opera, possiamo sperarlo.
Mi portò il signor *Biondo una lettera senza nome che io credetti esser del signor *Casaubona, al quale scrivo di ciò per questo stesso corriere.
Il signor *Menino se la passa al suo solito. Credo che scrivessi a Vostra Signoria, per l'altra mia relatione di una superba inscrittione, per mostrar ben adempite le profetie. Sopra quella il Menino fece l'epigramma primo che Vostra Signoria vederà qui allegato ma, per metterci le parole più formali a mia instanza ha mutato il muodo et ridottolo nella seconda forma. Li mando ambidua12.
Il signor Dominico *Molino è ardente come già, ma vorrebbe le cose precisamente conforme al disegno et che non passassero. Sollecita molto che il signor Casaubona dij fine all'opera della libertà13, ma io dico che bisogna appresso far luoco che possi esser letta, il che sopra tutto importa.
Mi vien detto et scritto ancora che monsignor *Pithou habbia scritto molto bel trattato per occasione delle nostre controversie14. Se Vostra Signoria potesse vederne la superficie et darmi avviso dell'argomento, scrivendomi una idea generale del trattato, io lo riceverei a favore et molto.
Il signor *Malipiero et il padre Fulgentio15 li rendono saluti innumerabili et io le bascio la mano, pregando Dio che mi dij modo di poterla servire.
Di Venetia, il 22 luglio 1608
Di Vostra Signoria molto illustre
affettuosissimo servitore
fra Paolo di Venetia
Epigrammes de Menino, jointes à la lettre
I
"Ad Terras age ; Nate, vola ! Decoxit Olympus,
nec tibi digna satis praemia ferre potest.
Nate, vola ! Te Roma manet: pete moenia Romae;
illic, te forsan Pontificem facient:
quod si contingerit, tunc maximus optimus, et mi
par eris, et nostra haec sceptra vicesque geres".
Sic Pater. At Natus: "Quorsum haec michi regna ? Nepotes,
quos ditem, nullos, magne Parens, habeo".
II
In impudentem adulatorem, qui Pontifici divinitatem,
monarchiam et omnipotentiam assentatorie adscripsit.
"Labere, Nate, polo; non hic tibi digna rependi
possunt laborum praemia.
Nate, tibi Tellus, ingens tibi Roma petatur,
quae pene surgit aemula
sodibus aethereis, hominesque interserit astris
nostroque miscet coelui.
Illic, te excipient forsan proceresque, patresque,
sacro rubentes murice;
Illic, Pontificem, forsan te celsa videbunt
urbis superbae moenia.
Quod si contigerit, quantum tuae gloriae crescet
opesque, titulique haud prius
auribus auditi priscis ! Nam vertice Princeps
qui Vaticano attollitur,
humana tanquam sit conditione solutus,
unusque nostrum dicitur
omnipotens illic, rerumque immensa potestas
vocatur, atque Vicedeus.
Illuc aspires, mea magna propago,
ut his fruare honoribus".
Sic, Pater. At Natus: "Quorsum haec mihi regna ? Nepotes.
quos augeam, ditem, sacro
demque auro, Tyrioque altos effulgere in ostro,
sunt, Genitor, haud ulli mihi".